Il Borgo di San Leucio
Il borgo di San Leucio si trova sul tracciato viario che da Caserta mena verso Caiazzo e la valle del Volturno. Lungo questa strada è situata Piazza della Seta, uno spazio semicircolare sul cui sfondo è posto il cancello di ingresso alla Colonia ed al Belvedere. Esterni alla Colonia sono collocati alcuni locali destinati al ricovero dei forestieri, qualche abitazione e le molte botteghe, ambienti con funzioni accessorie. Oltre il cancello inizia via Planelli con il maestoso arco trionfale dell’accesso alla Parrocchia e al Belvedere.
Prima dell’arco, a sinistra, si erge il quartiere Trattoria e, a destra, via Bagno Cavallo divisa in: piazza Scuderia, piazza Carmiani e via Ferriere. Dopo l’arco, a sinistra, il quartiere San Carlo e a destra il quartiere San Ferdinando. Essi sono strutturati come villette a schiera a due piani, con la facciata principale rivolta al Belvedere e sull’altro fronte uno spazio verde privato. Le strade laterali sono ben delineate e divise da carreggiate pedonali. Più in alto al piano delle case operaie è situato il Casino Reale del Belvedere, alla cui destra spicca la Filanda dei Cipressi con la Cocolliera. Sotto il sagrato della Real Parrocchia, le stalle reali con emiciclo chiuso da due rampe di scale. Dal quartiere San Carlo si giunge alla Vaccheria mentre da quello di san Ferdinando al Casino di San Silvestro (oggi Oasi del WWF) e alla cascata della Reggia di Caserta.
Le Origini di San Leucio
Carlo III, con la morte del fratellastro Ferdinando VI, gli successe al trono di Spagna, lasciando quello di Napoli al suo terzogenito Ferdinando con una reggenza di cui faceva parte il Tanucci e Pietro Bologna, principe di Camporeale e ambasciatore straordinario a Vienna,. Il Bologna fu scelto da Carlo III fra gli 8 reggenti del Consiglio della Corona, a Napoli, essendo Ferdinando in minore età. Questi, pervenuto al trono ancor fanciullo, visse in piena ufficialità fin dall’uso della ragione: egli considerava che anche Caserta non gli avrebbe consentito di vivere la sua adolescenza senza la vincolante presenza della corte.
Il suo stato d’animo in proposito rivelò in uno scritto del 1789 “…Non essendo certamente l’ultimo dei miei desideri quello di ritrovare un luogo ameno e separato dal rumore della corte, in cui avessi potuto impiegare con profitto quelle poche ore di ozio, che mi concedono di volta in volta le cure più serie del mio Stato, le delizie di Caserta e la magnifica abitazione cominciata dal mio augusto Padre e proseguita da Me, non traevano seco coll’allontanamento dalla città anche il silenzio e la solitudine, atta alla meditazione ed al riposo dello spirito, ma formavano un’altra città in mezzo alla campagna, colle istesse idee del lusso e della magneficenza della Capitale. Pensai dunque nella Villa medesima di scegliere un luogo più riparato, che fosse quasi un romitorio e trovai il più opportuno essere il sito di San Leucio.”.
L’estremo lembo settentrionale del parco di Caserta si confonde con le pendici del monte San Leucio, la cui cima, alta sul mare metri 467, era dominata da una chiesetta del periodo longobardo, dedicata al Santo vescovo che portava quel nome.
Nel 1750 Carlo III acquistò il sito dai Gaetani di Sermoneta, principi di Caserta. Al momento dell’acquisto era ricoperto da boschi ricchi di cacciagione e da una fitta vegetazione: querce, elci, olmi, carpini, castagni, sorbi, mirto, felci, rose selvatiche; sui declivi inferiori erano impiantati vigneti e giardini.
Qui sul lato rivolto verso la reggia, era stato costruito, tra il XVI e il XVII secolo, da Andrea Matteo Acquaviva, signore di Caserta, uno splendido palazzo la cui vista spaziava fino al golfo di Napoli. Nel rilievo dei beni di Anna d’Acquaviva, nel 1635, si descriveva “Il palazzo imperiale” del Belvedere di San Leucio che prendeva il nome dal suo posto poiché situato in “falda di una collina che da essa si mira un bellissimo vedere”. La piacevolezza del luogo catturò l’attenzione dei Borbone che fecero di San Leucio un luogo di reale delizia, di svago ed anche di proficuo lavoro per gli abitanti.
Passato ai Borbone il feudo di Caserta per volere di Carlo III, si pensava di restaurare il Belvedere, ormai privo di tetto e degradato dalle acque piovane.
Nel 1765 Luigi Vanvitelli propose di ripristinare l’intero edificio, essendo opera vana rifare la sola copertura ad un fabbricato non in grado di sostenerla.
All’inizio, Ferdinando IV si limitò a far costruire sulla collina una torretta ottagonale, detta La Posta del Re, di cui si serviva durante le battute di caccia: nello scavo per le fondazioni emersero i ruderi della chiesetta longobarda. Nel 1773 fece innalzare un muro di cinta intorno al monte lungo 12 chilometri, comprendendovi il bosco con la riserva, la vigna e l’antico Belvedere e vi fece costruire ad un’estremità, un piccolo casino per comodo di caccia con una cappella dedicata a San Leucio. L’edificio, denominato Casino Vecchio, sorge isolato e domina il Volturno che scorre nella pianura retrostante. In una antica casetta restaurata ed in un’altra appositamente costruita, alloggiò il personale addetto al podere, formato da 5 o 6 persone con le rispettive famiglie.
Nei pressi del Casino sorse (1773-1775) la Vaccheria che fu provvista di vacche importate dalla Sardegna.
Nel 1775, sempre in località Vaccheria, fiorì una piccola industria di calze e veli serici diretta e coordinata dal tecnico Francesco Bruetti da Torino.
Il Casino Vecchio copre un’area rettangolare ed ha 9 finestre per piano sui lati lunghi e 4 su ciascuno degli altri. Nella facciata principale, a pian terreno, spiccano una serie di arcate che fanno pensare ad un ramo d’acquedotto, sulle quali si sviluppa una balconata panoramica. Al centro della facciata si aprono tre arcate della loggia coperta da cui si accede alla cappella di San Leucio. L’edificio presenta i caratteri di una signorile casa di campagna che consentiva al Re di vivere in incognito. Oggi, in pieno abbandono, grazie ai privati proprietari che ne hanno confuso l’uso e deturpato l’aspetto. Una strada lunga metri 3889,35 lo collega, attraverso la Vaccheria ed il Belvedere, alla cascata della reggia ed era fiancheggiata da 960 ulivi.
Nel 1774-75 il Re fece costruire due strade laterali di accesso a Caiazzo ed a Castelmorrone. Nel 1775 viene costruito un nuovo muro di cinta, comprendente i possessi di Monte Briano, San Silvestro, Monte Maiulo, e l’antica strada per Morrone.
Sempre nel 1775 vengono erette diverse abitazioni per custodi e guardiacaccia al cancello detto del Quercione.
Il Palazzo del Belvedere
Il palazzo del Belvedere intanto diveniva la residenza di campagna dei sovrani che qui amavano andare a caccia e partecipare alle attività agresti degli abitanti del luogo ed in esso si trasferirono, abbandonando il Casino Vecchio della Vaccheria, quando ivi moriva, nel 1778, il primogenito di Ferdinando IV, principe Carlo Tito. Dopo i primi lavori di restauro, limitati alla sola parte anteriore, il Belvedere risultò formato da un salone centrale, da 12 camere su due piani e da cantine. Nel 1776 il salone fu trasformato in Cappella Reale dedicata a San Ferdinando Re, per la piccola comunità. Alla chiesa si accede attraverso due rampe di scale convergenti alla porta d’ingresso. Un vestibolo, al cui lato sinistro campeggia la sontuosa coppa battesimale racchiusa da ringhiera e superando un doppio scalino ci si avvia all’unica navata. Due gli altari laterali, quello di sinistra dedicato a San Leucio, quello di destra a San Carlo. Alle pareti laterali, quattro nicchie con altrettante statue rappresentanti: la Fede, la Speranza, la Religione, la Verità, opere di Angelo Brunelli che eseguì anche l’Agnello in marmo del fonte battesimale. Sulla parete di fondo due dipinti di Carlo Brunelli: a sinistra San Leucio che battezza, a destra San Leucio che predica. Lo scomparto di centro comprende l’apertura ovale da dove sovrasta l’organo positivo del 1776. L’altare maggiore è realizzato in marmi policromi. In alto una specie di tempietto con due colonnine per accogliere l’ostensorio. L’abside è racchiusa da una balaustra, opera di Bartolomeo Mazzei. Dietro l’altare maggiore campeggiava una tela di San Ferdinando Re dipinta da Carlo Brunelli (è stata trafugata).