Manifattura Serica

Nel 1778 il Re decise di dare avvio alla manifattura serica e dette l’incarico all’architetto Francesco Collecini di trasformare il complesso in fabbrica. L’antico Casino baronale divenne quindi corpo centrale avanzato di un grande edificio a pianta rettangolare con cortile interno, comprendente la scuola normale, le abitazioni per le maestre e per i direttori, le stanze per la trattura, la filatura e la tintura della seta. Al secondo piano, lo stesso appartamento reale comunicava con le stanze dei telai. Nell’edificio ripristinato ed ampliato, il macchinista fiorentino Paolo Scotti curò l’installazione della manifattura, le cui macchine erano animate dal rotone piantato in un sotterraneo del fabbricato e spinto da un ramo dell’acqua del Condotto Carolino. Tra il 1783 ed il 1787 si sistemavano nel Casino reale del Belvedere la filanda, i filatoi ed i telai sotto la guida di esperti stranieri; nel decennio successivo si impiantò la Cocolliera e si iniziò la costruzione di una grande filanda ad oriente del Casino reale, completata nel decennio francese (1805-1814). Nella filanda, attivata inizialmente a braccia, si utilizzò l’acqua come forza motrice a partire dal 1822. Il progetto di trasformazione dell’energia idraulica a meccanica fu ideato da Giovanni Patturelli. All’interno del primo cortile fu collocata, per iniziativa dell’amministratore della Real Colonia Antonio Sancio, la statua di Ferdinando I (1824) ancora in vita, con un’iscrizione composta da monsignor Vincenzo Lupoli Vescovo di Telese. Nel 1789 esistevano già circa 70 telai per calze e 30 per stoffe. Successivamente i telai per le calze ammontavano a 100 e quelli per le stoffe a 80. Nel 1882 fu introdotto il telaio Jacquard, grazie al cavalier Sancio e al francese Chabaud che istruì il vecchio leuciano Ferdinando Ruocco. Nell’opificio si producevano stoffe per abbigliamento ed arredamento di grande pregio, la cui materia prima era fornita dagli allevamenti dei bachi locali, nel Nolano e nel Sannio.

La Nascita della Colonia

La Colonia di San Leucio nasce nel 1776, con la sistemazione delle prime 17 famiglie che formarono più tardi un nucleo di 214 abitanti. Il Re per regolamentare la vita dei suoi coloni, nel 1789, promulgò il Codice delle Leggi, improntato all’uguaglianza ed al rispetto, l’unica diversità proveniva dal merito. Ultimati i lavori del Belvedere, nello stesso 1786, fu iniziata la costruzione dei quartieri operai. Sono case a schiera che si sviluppano ai lati della porta monumentale. Attualmente hanno pianta ad L ma avrebbero dovuto essere completati con altri fabbricati.
La costruzione di detti quartieri (1786-1794), opera dell’architetto Francesco Collecini, doveva ospitare 37 unità familiari, 20 nel quartiere San Carlo e 17 nel quartiere San Ferdinando.
Lungo i casamenti furono introdotti passaggi pubblici, ora aboliti, per consentire l’accesso ai giardini ed alla zona denominata “Bagno Cavallo”, in cui ancora oggi si possono vedere i lavatoi e gli abbeveratoi per i cavalli.

Graziose note decorative sono le fontane (opera del Solari), addossate ai cantoni presso via Vaccheria e via Giardini Reali, ciascuna formata da un bacino in forma di terrina e da una conchiglia in cui è una testa muliebre che versa acqua dalla bocca. Nelle nicchie sovrastanti spiccavano le effigi di San Carlo e San Ferdinando. Salendo da via Planelli troviamo il grande portale di ingresso. Questa porta, con lo stemma dei Borbone, fu eseguita per i leoni da Angelo Brunelli, per l’arme e le cornucopie da Nicola Morosini. Prima di essa si erge il quartiere Trattoria, iniziato nel 1794 ma il progetto non fu mai completato. L’idea era di formare uno spazio rettangolare per uso della Real Cavalleria onde potervi riporre cavalli e carrozze. Parte rimase a bettola e parte a stalle ed uso di macello. Nel 1797 quivi fu impiantata una fabbrica di maccheroni accanto al forno, alla macelleria e all’albergo del Giglio.
Nel 1797 fu data nel Belvedere una festa memorabile alla presenza della moglie di Francesco I, Maria Clementina Augusta, arciduchessa d’Austria. Tutto venne organizzato per sorprendere la sposa reale; canti e balli, fuochi artificiali che riproducevano un ponte per cui si passava da luoghi abbondantissimi di acque e fontane ad un sito ameno e brillante e un tempio, innanzi al quale vedevasi lo sposalizio di Amore e Psiche, accompagnati da due geni festeggianti; il terzo è una deliziosa veduta all’uso cinese, allusiva alla vaghezza ed ubertà dei campi di Terra di Lavoro. La festa fu progettata dall’architetto Francesco Collecini e realizzata dal macchinista Vincenzo Ardito.  Nel 1789 fu impiantata, in località Vaccheria, una fabbrica per la concia delle pelli sotto la direzione di un tale Jordan da Grenoble. Nel 1794 il Collecini disegnò anche l’ospedale per San Leucio e ne fece il modello in legno. Così la Colonia ebbe l’ospedale per le malattie “normali” ed uno fuori recinto per le malattie infettive. Sempre nel 1797 fu iniziato il Casino di San Silvestro, con vigne e giardini; fu terminato nel 1801 da Patturelli. Comprendeva, a pian terreno, 12 vani: 6 destinati a cantine e fabbricazione dei vini, 6 a stalle, fabbrica di latticini e pollai; al primo piano tre sole stanze per uso del Sovrano.
Gli avvenimenti del 1799 non consentirono l’avvio della grande città: Ferdinandopoli.
Nel 1801 fu iniziata, sempre su progetto del Collecini, la costruzione della chiesa della Vaccheria, dedicata a Maria Santissima delle Grazie. Fu terminata da Giovanni Patturelli con una fastosa inaugurazione, nel 1805, dove fu presentata per la prima volta la “Nina” del Paisiello. Accanto alla chiesa, su progetto di G. Patturelli, furono costruiti tre edifici industriali per la manifattura del cotone.
Continuano, nei primi decenni del 1800, gli ampliamenti della fabbrica del Belvedere, mentre il Patturelli viene incaricato di rifare l’appartamento reale e di ridurre ad elegante forma di novello Parco di Delizie, la zona alle spalle del palazzo, adornandola di preziosi e tortuosi viali, di artefatti ruderi e di un comodo riposo nella sommità del parco con sgorgo di acque. Questo parco era un territorio compreso tra il cancello di San Silvestro e la porta dei Vermi, lasciato fuori dal recinto per non alterare la regolarità del muro di cinta. Per volontà di Francesco I, la parte di territorio posta tra il cancello sopra la filanda e la porta dei Vermi fu sistemata come “Parco delle Delizie” con due edifici: una casetta a due piani ed un monumentino gotico, luogo di riposo e meditazione dei sovrani.
La fabbrica intanto continua la sua attività attraverso varie società. Nel 1860 i beni dei Borboni diventano demaniali ed il demanio, nel 1865, affitta per 24 anni lo stabilimento al signor Dumontet, ceduto da costui, nel settembre dello stesso anno, ai signori Tadiglieri, Pascal ed altri.
Nel 1866 i leuciani inviano una petizione al Parlamento Nazionale chiedendo l’erezione a Comune Autonomo e rivendicando la proprietà dei fondi della Cassa di Carità e della Fabbrica. Nel maggio del 1866 la Colonia viene trasformata per decreto reale in comune, ereditando le proprietà borboniche.
Da allora l’opificio di San Leucio conobbe diverse gestioni fino al 1910, quando l’ultima società assegnataria fallì.
La fabbrica, rimasta inattiva fino al 1920, fu riaperta dalla famiglia De Negri, che aveva stipulato un contratto di affitto valido fino al 1936 ma che si protrasse in realtà fino agli anni ’70, quando i De Negri trasferirono la loro attività in un opificio nuovo nei pressi della Piazza della Seta.
Da allora molte industrie, piccole e grandi, produssero stupende stoffe per i mercati nazionali ed internazionali come i setifici Di Giacomo e Bologna.

 

Le Attività Agricole

Nella collina di San Leucio, fin dal 1773, il Re aveva programmato attività agricole. Famosa era la vigna del Ventaglio: sfruttando il declivio del terreno, tra il Belvedere e San Silvestro, era stato costruito un impianto a semicerchio, diviso in 10 raggi. La sua forma era così somigliante ad un ventaglio. Ogni raggio conteneva mille viti di diversa specie, indicata su una lapide di travertino. Cominciando dal primo raggio si trovava: il Lipari rosso, il Delfino bianco, il Procopio, il Piedimonte rosso, il Piedimonte bianco, il Lipari bianco, il Siracusa bianco, il Terranova rosso, il Corigliano rosso, il Siracusa rosso. A destra del grande viale di accesso al Belvedere, nell’antica vigna della Torretta, così denominata dalla torre ivi esistente al tempo dei Baroni, venivano coltivati la Lagrima Rossa, l’Aliatico rosso e l’Aglianica, mentre, a riscontro di questa, al lato sinistro del viale, nella vigna del Pomarello, così detta dai diversi alberi di frutti ivi esistenti fin dai tempi dei Principi di Caserta, si coltivavano uve bianche vernotiche. Altri antichi vigneti erano quello dell’Arcone e dello Zibibbo. Sul monte detto “Sommacco”, per iniziativa del barone siciliano Innocenzo Zappini, fu introdotta la pianta del sommacco utile alla concia delle pelli e quella del pistacchio. All’interno del recinto di San Leucio erano presenti altre coltivazioni che rendevano l’area quasi autosufficiente: olivi, alberi da frutta, agrumi, gelsi, riso, cotone, granturco, nonché l’allevamento di bovini ed ovini ed anche una fabbrica di maccheroni. I boschi erano ricchi di selvaggine e nel 1885 si contavano piante così suddivise: 950.000 querce, 250.000 elci, 50.000 aceri, 200.000 carpini bianchi e neri, 15.000 corbezzoli, 1.000 castagni, 6.000 cirri.
Nel territorio di San Leucio si temperavano, senza contrasti, le esigenze venatorie con quelle agricole. Non era dunque un luogo di ozio ma quasi un’azienda agricola e manifatturiera moderna.
Oggi forse della grande “Utopia realizzata” di re Ferdinando, resta in San Leucio una struggente malinconia.